Sergio Sermidi 1937-2011

Nasce a Mantova. Dopo aver terminato il locale Istituto d’arte, completa la propria formazione prima presso l’istituto Venturi di Modena, dove segue gli insegnamenti di Luigi Spazzapan, e, poi, per un breve periodo all’Accademia di Brera, dove frequenta il corso di pittura tenuta da Pompeo Borra.

Dopo alcuni primi lavori che guardano al Surrealismo, Sermidi abbandona pressoché subito la figurazione. Nella seconda metà degli anni Sessanta dopo essersi prima ispirato allo studio dei fenomeni percettivi e alle armonie di forme e colori di Delaunay e Kupka, realizza opere gestuali che guardano all’action painting americana di Pollock e Tobey, mediata dall’attenzione cromatica di Tancredi e Dorazio.

Dopo alcune mostre personali, nell’estate del 1970, partecipa alla collettiva Pittura ’70: l’immagine attiva (Mantova, Casa del Mantegna); vi espongono, tra gli altri, Claudio Olivieri, Mario Raciti, Valentino Vago, tutti legati da amicizia e consuetudine a Sermidi.

In questo momento le opere di Sermidi riducono al minimo lo specifico del linguaggio pittorico, segno e colore: dinamiche retinature solcano la tela come tentassero di liberarsi dalla superfice che le contiene, come forme embrionali che si aggregano per sfuggire al caos primigenio.

Nelle opere subito successive, l’ossessivo rigore e la maniacale disposizione ritmica delle sottilissime trame che occupano tutto lo spazio, se da una parte sembrano impartire un ordine razionale e seguire una scansione logica, dall’altra-paradossalmente-non fanno che accrescere la vertigine del vuoto.

Intorno agli anni Ottanta, solchi verticali attraversano la superficie, come strappi. Lacerazioni da cui filtra la luce, fughe di energia dal magma materico.

Negli anni Novanta il segno gestuale si fa via via più libero, si curva, e contemporaneamente la superficie da cui si libra, prima campo di sotterranee tensioni, si diluisce e si stempera: dopo la lotta per uscire dal caos, dall’abisso dell’indistinto, l’artista sembra voler testimoniare la dolcezza dell’abbandono, dell’approdo nell’alveo della mater natura, dello sprofondare nel mare dell’infinito.

Negli anni Duemila, la pittura si fa ancora più libera e Sermidi dialoga con schegge di luce che appaiono e si dileguano nel corpo del colore, abolendo lo spazio circostante con svolte di linee imprevedibili che seguono il muoversi del tempo.

Tra i MUSEI che ospitano le opere di Sermidi si ricordano:

  • Bologna, Pinacoteca Comunale;
  • Milano, Padiglione d’Arte Contemporanea (PAC);
  • Rovereto (TN), museo d’arte moderna e contemporanea di Rovereto e di Tento (Mart), collezione Feierhabend;
  • Pieve di Cento (BO), Museo delle eccellenze artistiche e storiche (MAGI ‘900);
  • Cittadella (PD), Collezione di Palazzo Pretorio;
  • Conegliano Veneto (TV), Palazzo Sarcinelli.